Concorrenza sleale: cos’è e come ci si tutela

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Concorrenza sleale come si manifesta e come ci si difende

La concorrenza sleale insieme di comportamenti “disonesti” indicati dal legislatore nel codice civile e in altre leggi speciali.

Questi comportamenti o fattispecie si verificano nel libero mercato.

Si è reso necessario tutelare l’imprenditore dal subire questi comportamenti allo scopo di rendere la concorrenza onesta.

La prima tutela legislativa della concorrenza si ebbe a livello internazionale con la Convenzione d’Unione tenutasi a Parigi nel 1883.

Il legislatore italiano nel 1942, da una norma contenuta in tale convenzione (Art. 10-bis) ha introdotto nel nostro codice civile l’articolo 2958 che da allora a tutt’oggi disciplina “gli atti di concorrenza sleale“.

Cos’è la concorrenza sleale ?

In un libero mercato si contendono il primato gli imprenditori con i diritti acquisiti su segni distintivi ed altri diritti di proprietà industriale, sui quali l’imprenditore esercita un uso esclusivo.

Tale regime di concorrenza è sano fino a che l’uso esclusivo dei propri segni distintivi o diritti di proprietà industriale non viene sottratto ad un imprenditore da parte di un altro.

Si verificano in tal caso atti di concorrenza sleale.

Tali atti sono caratterizzati principalmente dall’essere confusori e mendaci.

In particolare l’articolo 2598 c.c. prevede quanto segue:

  1. quelle confusorie, tra cui si individua l’imitazione servile ( concorrenza sleale);
  2. la denigrazione e l’appropriazione di pregi;
  3. tutti gli altri atti di concorrenza sleale che possono essere distinti in due gruppi. L’uno comprendente atti volti ad alterare la situazione del mercato. L’altro invece comprendenti atti rivolti a colpire un concorrente determinato.

Tutti gli atti di concorrenza sleale sono soggetti a sanzione la più incisiva è inibitoria.

Quali sono i presupposti della concorrenza sleale

L’art. 2958 del codice civile stabilisce che il primo presupposto della concorrenza sleale è l’esistenza di un rapporto di concorrenza fra due o più soggetti.

Si parla di “compie atti di concorrenza chiunque…”.

E’ necessario, a questo punto, definire cosa si intende per concorrenza.

Si ha un rapporto di concorrenza quando due imprenditori offrono sullo stesso mercato prodotti o servizi, anche di qualità inferiore l’uno rispetto all’altro, che soddisfano gli stessi bisogni o bisogni simili e dunque si rivolgono allo stesso pubblico.

Si crea pertanto con la concorrenza sleale una reciproca attività che ha come obiettivo quello di distogliere la clientela.

La concorrenza può riguardare:

  • quello merceologico, ovvero prodotti e servizi che gli imprenditori offrono alla medesima clientela;
  • quello territoriale, ovvero in che misura si estende il mercato dove avviene l’incontro fra domanda e offerta.

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I beni e i servizi offerti

Si parla di un rapporto di concorrenza sleale sviamento clientela quando due imprenditori offrono gli stessi prodotti o servizi  in un mercato che si sviluppa nello stesso territorio.

Quando manca tuttavia l’identità tra i prodotti e i servizi bisogna spostarsi sul piano dei bisogni della clientela.

Si può ricomprendere all’interno della tutela anche un rapporto di concorrenza potenziale.

La qualifica di imprenditore

Concorrenza sleale codice civile e precisamente l’articolo 2598 c.c. sembra riservare la propria applicazione a chi esercita un’attività di impresa.

La qualifica di imprenditore non è quella strettamente individuata dall’articolo 2082 c.c. 

È sufficiente che l’attività economica sia diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi senza tener conto del requisito della professionalità.

Può considerarsi tutelato dalle fattispecie di cui all’articolo 2598 c.c. anche chi si sta intraprendendo un’attività organizzata in forma d’impresa.

La domanda più frequente che ci si pone e se la tutela vale anche durante la procedura di liquidazione di una società.

La risposta sarà negativa se la società non è più attiva da tempo e non c’è una visione di ripresa.

Al contrario sarà positiva se durante la procedura si prospetta una ripresa dell’attività.

Questo accade quando:

  1. l’azienda viene ceduta ad un terzo che prosegue l’attività;
  2. viene revocato lo stato di liquidazione;
  3. non si dissolve del tutto l’assetto organizzativo aziendale.

E nel caso di imprenditore fallito?

Se il nucleo aziendale non si è dissolto l’attività l’impresa resta tutelata dalla concorrenza sleale di cui all’articolo 2598 c.c.

Liberi professionisti e concorrenza sleale

L’attività economica organizzata in forma di impresa può essere esercitata anche dal libero professionista.

Questo se inserito in una struttura di grandi dimensioni può assumere la qualifica di imprenditore ma a delle condizioni che sono state precisate dai giudici della Cassazione.

La più recente sentenza in merito è la n. 2520 del 2016. Solo in questo caso la tutela della concorrenza sleale è estesa al libero professionista.

Si riportano le testuali parole della sentenza: “e poi è pur vero che anche i professionisti intellettuali (in generale), possono teoricamente assumere la qualità di imprenditore commerciale quando esercitano la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa, ciò vale solo in quanto essi svolgano una distinta ed assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale proprio per il diverso ruolo che assume il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale- e per il diverso apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio”.

La concorrenza sleale indiretta

Si parla di concorrenza sleale indiretta quella costituita da atti posti in essere da soggetti di cui si avvale per l’esercizio dell’attività di impresa.

Questa viene riconosciuta dall’articolo 2598 c.c al terzo comma .

La legge stabilisce che tali atti devono essere posti in essere non necessariamente per conto dell’imprenditore ma almeno nel suo interesse.

La responsabilità a chi è imputabile?

In primo luogo all’imprenditore stesso e in secondo luogo anche al terzo.

Bisogna poi sapere qual è il ruolo ricoperto dal terzo:

  1. se si tratta di un dipendente dell’imprenditore la responsabilità versa tutta in capo a questi;
  2. se invece si tratta dell’amministratore di una società che pone in essere atti di concorrenza sleale nello svolgimento del suo ufficio, sarà responsabile solo la società;
  3. per tutti gli altri soggetti la responsabilità è in solido con l’imprenditore.

Le fattispecie confusorie di concorrenza sleale

L’articolo 2598 e precisamente al comma 1, individua 3 fattispecie di concorrenza sleale confusoria:

  1. usare nomi o segni distintivi di un altro imprenditore creando confusione alla clientela;
  2. l’imitazione servile dei prodotti di un altro imprenditore;
  3. altre modalità di creare confusione con l’attività di un altro imprenditore.

Queste tre fattispecie sono tutte accomunate dallo stesso fine, ossia produrre confusione.

Due precisazioni vanno fatte in merito all’ambito di applicazione della tutela.

1) il concreto verificarsi delle pratiche confusorie: questa non è necessaria ai fini dell’applicabilità della tutela essendo l’illecito qualificato come illecito di pericolo e dunque derivante anche da sola confondibilità (potenziale confusione).

2) riguarda la tutela di quei segni distintivi ( ditta, insegna, marchio) per i quali sono individuate altre forme di tutela in leggi speciali.

Quando si parla di imitazione servile?

Disciplinata dal n.2 primo comma, dell’art. 2598 c.c., quando si riproduce il prodotto di un imprenditore concorrente.

L’imitazione è servile quando è idonea a creare confusione.

Se il prodotto imitato viene anche abbellito con il marchio dell’imitatore può diventare dubbia l’illiceità dell’imitazione.

Il corpo della tutela contro l’imitazione servile riguarda principalmente dunque la forma del prodotto.

La denigrazione atto di concorrenza sleale

Spiegata al n.2 dell’articolo 2598 c.c., la denigrazione è un atto di concorrenza sleale compiuto da chi “diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito

Tale danno può consistere:

  • nella perdita di clientela,
  • nella perdita di fiducia da parte del proprio personale dipendente,
  • nella perdita di fornitori.

Le fattispecie della denigrazione

Nella denigrazione possono individuarsi due fattispecie: quella della comparazione (i giudizi e le notizie diffuse comparano i prodotti o l’attività propri del denigratore a quelli di un concorrente) e quella della magnificazione del proprio prodotto (si verifica quando si utilizzano delle affermazione superlative, anche tramite la pubblicità, sui propri prodotti o sulla propria attività, senza alcun cenno a quelli altrui, presupponendo l’eccellenza dei propri rispetto a quella dei concorrenti).

Le altre forme della concorrenza sleale

Il n. 3 dell’articolo 2598 c.c. offre delle indicazioni su tutti gli atti di concorrenza sleale diversi da quelli enunciati ai numeri 1 e 2. Tali atti sono tutti quelli contrari ai principi della correttezza professionale e che sono idonei a danneggiare l’altrui azienda.

Con tale norma sono stati individuati e raggruppati in raccolte normative diverse dal codice civile una serie di comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale diversi dagli altri previsti all’articolo 2598 c.c.

Rimedi e sanzioni previsti per gli atti di concorrenza sleale

Con riguardo alle sanzioni l’articolo 2599 c.c. recita: “La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti”. Si ottengono dunque con la sentenza di accertamento:

  1. l’inibitoria ovvero il divieto assoluto di continuare a compiere gli atti dichiarati illeciti dal giudice;
  2. la disposizione dei provvedimenti necessari a limitare gli effetti di tali atti.

Ai sensi dell’articolo 2600 c.c. è previsto inoltre il risarcimento del danno se l’atto è compiuto in presenza di dolo o colpa nonché l’eventuale ordine di pubblicare la sentenza.

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